Danilo
Arona
IO SONO LE VOCI
Edizioni Anordest 2013, pagg. 358 €. 12,90
Non
ho mai riflettuto troppo sul concetto di romanzo storico, convinto che una
qualunque trama con la pretesa di avere radici ben salde nel contesto sociale
narrato (che non sia la stretta quotidianità), porti necessariamente in sé le
atmosfere di un mondo da guardare con la testa rivolta all’indietro. E a farla
da padrona devono essere memoria, lucidità del ricordo e sapiente descrizione
dell’emozione che tutto ciò resuscita nello scrittore. Così come l’ambientazione,
precisa ma allo stesso tempo funzionale senza essere didascalica, e i personaggi,
espressione di un profilo adeguato alla realtà in cui sono incarnati e che di
quella realtà sono soprattutto portatori di pensieri, cultura e costume. Però tutto
ciò non sembra essere sufficiente. L’elemento che permette di battezzare come
“storico” un romanzo è stato dettato da critici e accademici (che di regole
sono maestri) i quali hanno sancito che devono essere trascorsi almeno cinquant’anni.
Come le macchine d’epoca.
Il
che escluderebbe dalla partita Io sono
le voci, di Danilo Arona. Scartato per un cavillo procedurale, si potrebbe
dire, visto che il cuore della trama si sviluppa negli anni settanta e la
matematica non è un’opinione. I cinquant’anni sono ancora da venire. Per un
punto Martino ha perso l’asino, si dice nella terra di Bassavilla, tanto cara a
Danilo Arona. Allora, schema per schema, andiamo sul sicuro: classifichiamo Io sono le voci come un thriller. Un
noir. Così tagliamo la testa al toro. Che probabilmente thriller lo è pure, non
mancano gli elementi classici del noir e la suspence è sempre pronta ad
aggredire il lettore. Poi si può anche rilevare che a tratti la scrittura
rivela la ormai nota famigliarità per il genere horror e per i suoi avvitamenti
tra incubi e paranormale. Ma ciò che dà forza al romanzo è il salto nel passato
compiuto dall’autore, dove si ipotizza “una linea di sangue che parte dal 1961
per continuare ancora oggi”. Ogni pagina è affilata, un colpo di bisturi dietro
l’altro per vivisezionare gli elementi portanti, ovvero gli spaccati di storia
sociale e di costume cui la trama fa riferimento. Il tutto valorizzato dallo
strumento che Arona ben conosce e ben padroneggia, cioè il cinema. E così
rispolvera una lunga carrellata di pellicole. Una cinquantina di titoli
scorrono nell’impianto narrativo, quasi tutte prodotte fino alla fine degli
anni settanta. Si racconta un cinema fatto non solo di immagini, ma cresciuto
tra le pieghe intellettuali e un po’ maniacali di cinefili e cineforum.
Riprendono vita (con tratti leggerissimi di penna) le atmosfere di quando al
cinema si fumava, le seggiole di legno scricchiolavano mentre la luce del
proiettore assorbiva volute di nebbia alle spalle di uno spettatore a volte
distratto da flash sullo schermo a indicare le rotture di una pellicola usurata
e rimessa insieme con un taglio netto di forbici e una spennellata di acetone.
Gli anni in cui il cinema era capace di far vivere emozioni forti con
espedienti molto artigianali, la sensualità di gambe velate e accavallate, la
passione di un amplesso tra corpi attorcigliati da pudiche lenzuola. Immagini
spesso sfocate, e suoni distorti dalle proiezioni fatte in cinema all’aperto spesso
in compagnia di zanzare e qualche pipistrello. E la paura, fatta di primi piani
di lame a mezz’aria, di mani guantate e soprabiti neri e lucidi, bagnati di
pioggia notturna. Ed è proprio attraverso queste stesse emozioni dei
protagonisti di Io sono le voci,
maturate nel tempo, fin dagli anni della loro difficile adolescenza, che si
snoda la follia di cui si nutre l’intera vicenda. “Da sempre in Italia
avvengono omicidi inspiegabili che sembrano trovare una loro magra
giustificazione nella ferocia esibita.” Sottolinea lo stesso Arona “Dagli anni
Sessanta,poi, è in atto un’escalation. Prima in una città di provincia nel nord
Italia. Poi a Milano nel decennio successivo con giovani donne trucidate
attraverso modalità di raro sadismo.”
La
vera protagonista è una giovane e determinata giornalista investigativa dei
giorni nostri, Cassandra Giordano, che scopre un impensabile filo
rosso che collega delitti tra loro lontani nel tempo e nella geografia:
la visione di certi film, il cosiddetto effetto Copycat (uno dei più recenti e clamorosi esempi è la strage
di Aurora avvenuta in concomitanza con la prima di The
Dark Knight Rises, l’ultimo film di Batman) le voci nel cervello che
spingono a uccidere emulando gli omicidi passati sullo schermo. Cassandra stessa
ne diventa vittima, passa il testimone alla sorella Arianna e a un
ispettore di polizia. Le indagini prendono il via. Da Bassavilla fino ad una Milano che si trasforma in un sanguinario set
cinematografico. Fino a smascherare le prime avvisaglie del dopoguerra e
proseguendo il percorso agli anni settanta, quando la cronaca nera era soffocata
dall’incalzare di avvenimenti politici ben più gravi. Strategia della tensione
e Brigate Rosse rubano la scena a casi autentici e mai risolti
Una
scrittura quasi a sequenze, resa ancor più incalzante dallo stile tipico di Arona
dove le vicende si muovono in una continua miscellanea di ingredienti che si
intrecciano tra una potente prosa narrativa, deviazioni dal sapore saggistico e
scioltezza nella forma giornalistica. In Io
sono le voci resta solo da chiarire quanto Danilo Arona ami di più la
letteratura o il cinema, ma è meglio non rivolgergli questa domanda. Meglio non
farsi ingannare dall’abilità con cui si destreggia nel mondo del cinema, o
dalla ricca produzione letteraria che ne ha caratterizzato i suoi ultimi anni
da scrittore. Potrebbe tacere, alzarsi con aria un po’ mesta e prendere in mano
una chitarra.
Del resto Il vento urla Mary, e per lui urlerà sempre.
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